Sa Sartiglia
Emozione senza tempo
Ad Oristano l'ultima domenica e martedì di carnevale si corre, per antica tradizione, la Sartiglia, uno degli ultimi tornei equestri di origine medievale ancora presenti in area mediterranea. La giostra della domenica organizzata dal gremio dei Contadini, mentre il gremio dei Falegnami sovrintende alla corsa del martedì grasso. La corsa vede protagonisti dei cavalieri mascherati che tentano con una spada e con una lancia di legno, detta stocco, di infilzare un anello a forma di stella, sospeso ad un nastro teso di fronte alla Cattedrale di Santa Maria Assunta, lungo la via Vittorio Emanuele.
Le due corse, identiche nelle fasi salienti, si differenziano in alcuni dettagli: la domenica i nastri che stringono le maniche della camicia e mantengono maschera e cilindro del Componidori - il capo corsa che sovrintende all’intera manifestazione - sono rossi, mentre sono rosa e turchini il martedì; la sua maschera lignea color terra la domenica, mentre il martedì di color rosa carne; ancora, la giubba di pelle del capo corsa, detta coiettu, allacciata anteriormente con stringhe di cuoio per il Componidori del gremio dei Contadini, mentre il capo corsa del martedì reca un coiettu legato sul davanti da borchie argentee a forma di cuore; infine, i pantaloni sono color miele la domenica e s'indossano dentro gli stivali da cavallerizzo, invece il martedì arrivano sino al ginocchio e fungono da sovrapantaloni.
Il giorno della Sartiglia un araldo a cavallo accompagnato da alfieri, tamburini e trombettieri, percorre le vie della città e si ferma nelle piazze principali per leggere il bando: l'avviso della corsa che si terrà nel pomeriggio. Il Componidori si dirige verso il luogo della vestizione, accompagnato in corteo dal gremio e da is massaieddas, giovani ragazze in costume sardo che compiranno il rito della vestizione. Il cavaliere - scelto tra i cavalieri oristanesi dal Presidente del gremio per ricoprire l’importante incarico - prende posto su una sedia collocata su un tavolo, sa mesitta, e da quel momento non dovrà più toccare il suolo fino alla sera, quando, terminate le corse, is massaieddas gli toglieranno la maschera. Prima della posa della maschera, is oberaius fanno un ultimo brindisi con l'uomo che sta per diventare Componidori, chiedendo al Santo la protezione per il cavaliere. Is massaieddas posano la misteriosa maschera sul viso: il momento più solenne ed emozionante della gioiosa giornata perché l'uomo smette di esistere e al suo posto appare a tutti un semidio, avente l'onore di condurre i cavalieri alla giostra equestre.
Il corteo composto da 120 cavalieri in maschera riuniti in gruppi di tre, che vestono colorati costumi di foggia sarda e spagnola e montano cavalli bardati con coccarde multicolori. Il Componidori, affiancato dai due compagni di pariglia, su segundu cumponi e su terzu cumponi, guida il corteo verso il teatro tradizionale della giostra.
La corsa si svolge nell'antica città murata, lungo la strada che conduce dalla reggia dei re d'Arborea alla Cattedrale di Santa Maria, fino all'ospedale medievale di Sant'Antonio Abate. Su questa strada apre la corsa il Componidori con il segundu cumponi eseguendo tre incroci di spada sotto la stella appesa ad un nastro verde. Su questa via, spronato il cavallo, il Componidori tenterà d'infilzare la stella con la spada. Successivamente la prova sarà ripetuta da quei cavalieri scelti dal capo corsa per tentare la sorte. Più stelle saranno spiccate dal nastro, migliore sarà l'annata e rigoglioso il raccolto dei campi. Al Capo corsa e ai suoi due aiutanti di campo competerà una seconda prova cercando di cogliere la stella con lo stocco, l’elegante lancia di legno.
Concluse le discese alla stella il capo corsa riceve sa pipia de maiu e, giunto davanti all'antico castello giudicale, a gran galoppo, ripercorre il tragitto riverso all'indietro sul cavallo, benedicendo la folla. Terminata questa prima fase della manifestazione, il corteo si dirige verso la via Mazzini, il cui tracciato costeggiava anticamente le mura turrite della città, teatro delle spericolate e acrobatiche evoluzioni delle pariglie. Al tramonto, chiusa la festa, il Componidori e i cavalieri, attraverso le vie del borgo, fanno ritorno al luogo della vestizione dove is massaieddas compiono il rito della svestizione, togliendo la maschera al capo corsa e facendolo ritornare “uomo”. Da quel momento iniziano i festeggiamenti in onore dell'eroe del giorno e del suo seguito, con un banchetto che vede la presenza di tutti i partecipanti alla giostra.
In Oristano, contadini, sarti, falegnami, carreggiatori, scarpai, muratori, ferrai, vasai, bottai, fabbri e armaioli erano riuniti in corporazioni d'arti e mestieri.
Tali associazioni, chiamate gremi, erano del tutto simili nella struttura e nell'organizzazione alle corporazioni spagnole.
Originariamente menzionati con il nome di maestranza, offici, confraria o germanidad, a partire dal XVII secolo invece attestato il nome gremio, ancora oggi adoperato, che deriva dall'espressione “in gremio”, ovvero il mettersi “in grembo”, sotto la protezione di uno o più Santi patroni. I gremi sardi rispecchiano le caratteristiche sostanziali ed in particolare le formule statutarie mutuate dalle associazioni di mestiere barcellonesi, adeguate alla realtà locale. Le assemblee degli associati si tenevano nella cappella o nell'oratorio della chiesa intitolata al Santo patrono. Lo statuto dettava norme per la costituzione, l'amministrazione, i doveri religiosi, la disciplina professionale, gli esami per i nuovi soci, le controversie di lavoro, le norme per la conservazione dei libri amministrativi e contabili e la cura delle cose necessarie alle cappelle. Ogni associato era vincolato al rispetto di molteplici doveri religiosi, morali e sociali, poiché il principio di mutualità tra i soci era alla base del gremio.
L'associato era obbligato a partecipare a tutte le funzioni liturgiche ufficiali, alla solennità del Santo patrono e ai funerali dei soci. Durante la festa del patrono, il gremio sorteggiava o eleggeva i nuovi amministratori: il maggiorale, che ne era il rappresentante (talora erano due), e i probi uomini, sorta di consiglio particolare del maggiorale.
Grazie ad eredità, donazioni o pagamento di crediti, i gremi entravano in possesso di case e terreni, la cui rendita costituiva un'unità importante sul totale delle entrate di cassa. Inoltre, accrescevano i propri beni immobili con l'acquisto di terreni e la costruzione di edifici.
I maggiorali controllavano tutti gli introiti. Le voci delle uscite cambiavano secondo le diverse attività, mentre erano comuni a tutti i gremi le spese concernenti le feste dei Santi patroni, l'acquisto della cera per le candele e le spese relative ai funerali degli associati. L'attività dei gremi documentata fino alla seconda metà del XIX secolo, quando la legge del 29 maggio 1864 li abolì de iure, obbligandoli alla trasformazione in società di mutuo soccorso. Attualmente queste istituzioni sono ancora operanti nelle sole città di Sassari e Oristano.